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Presentato al Senato un ddl che punta a smilitarizzare il servizio religioso svolto dai Cappellani Militari all'interno delle Forze Armate. L'Ordinario Militare, invece, ne ribadisce invece la piena validità. AMID evidenzia il confronto tra le due posizio PDF Stampa E-mail
Il grande filosofo ed economista americano John Kenneth Galbraith indicava nel suo libro "Anatomia del potere" i tre poteri fondamentali che condizionano l'umanità:
  1. Politico;
  2. Religioso;
  3. Militare.
Dei tre egli asseriva che i più subdoli sono il potere religioso e quello militare in quanto sono subiti con una sorta sottomissione, non avvertita come tale, in quanto frutto dell’auto condizionamento che deriva dall’accettazione conscia ed inconscia delle "regole" a cui ci si assoggetta sia quando si abbraccia la carriera militare sia quando si condivide una fede religiosa.

Questa breve digressione ci serve per introdurre un argomento che fa parte dell'attualità del dibattito politico per l'iniziativa assunta da alcune forze politiche che hanno messo in discussione l'opportunità e la necessità di continuare a prevedere nelle Forze Armate un servizio religioso tramite i Cappellani Militari.

AMID, sempre attenta a fornire il proprio contributo al dibattito politico culturale che gravita intorno alle Forze Armate, pubblica i seguenti spunti di approfondimento:
  1. d.d.l. presentato al Senato con un articolo che ne illustra le motivazioni alla base della richiesta di smilitarizzazione dei Cappellani;
  2. intervista rilasciata sull’argomento dall'Ordinario militare per l'Italia, mons. Vincenzo Pelvi.
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Il servizio dei cappellani militari all'interno delle Forze armate nella testimonianza dell'Ordinario militare per l'Italia, mons. Vincenzo Pelvi

“Il cappellano militare è un sacerdote che porta Cristo al cuore degli uomini”. Lo afferma l’arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, in riferimento al disegno di legge presentato al Senato italiano da Verdi e Comunisti italiani che punta ad un ridimensionamento dei cappellani militari nelle caserme.

Mons. Pelvi, sottolinea l’attività umanitaria e caritativa promossa dall’Ordinariato militare, all’estero, con il sostegno offerto ad alcune scuole di Sarajevo per favorire l’integrazione tra bambini cattolici, musulmani e ortodossi, ed in Italia - tra l’altro - a sostegno economico degli orfani e delle persone diversamente abili di famiglie povere dei militari.

Luca Collodi di Radio Vaticana ha chiesto a mons. Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, perché è importante la figura del cappellano militare nelle Forze Armate.

R. - Il cappellano militare è un sacerdote e il sacerdote porta Gesù Cristo al cuore degli uomini. Nella situazione concreta della nostra nazione, c’è questa esigenza, questa attesa, questo diritto richiesto dal mondo militare di conoscere Gesù Cristo. Per questo, il cappellano trova a livello giuridico e costituzionale la sua presenza motivata nelle Forze Armate, per una risposta al diritto che hanno i cittadini di veder garantita la libertà religiosa e la conoscenza dei principi e dei dettami religiosi.

D. - Mons. Pelvi, qualcuno obietta che non si può servire pienamente la causa della pace con le armi...

R. - La Chiesa è al servizio della persona. La Chiesa, servendo la persona, serve la pace. Penso che dobbiamo riflettere sulla connotazione che diamo al concetto di pace. Bisogna andare oltre una mentalità riduttiva della pace, nel senso che dobbiamo avere una visione allargata della pace perché se penso alla salvaguardia del Creato, alla difesa e alla promozione della vita, allo sviluppo e alla solidarietà tra i popoli, dico che l’impegno di tutte queste dimensioni sono al servizio della pace. E allora cambiamo mentalità, cioè non pensiamo alla pace come assenza di guerra ma alla guerra come assenza di pace. Partiamo da un concetto di pace più ampio e allora qui si trova il senso anche del servizio della Chiesa che è un servizio alla pace. Mi viene immediato il riferimento a Giovanni XXIII che è stato un cappellano militare e che ha dato dei pilastri del Magistero sulla pace.

D. - Alcuni contestano il fatto che lei, mons. Pelvi, sacerdote e arcivescovo, sia anche Generale di Corpo d’Armata, uno tra i più alti gradi della gerarchia militare…

R. - Tutti conosciamo il mondo militare. Con le sue regole, norme. Per cui, far parte e non essere estraneo a questa famiglia vuol dire prendere anche tutto quello che specifico di questa famiglia. Direi che la "militarità" non è un ostacolo alla sacerdotalità, ma per me diventa come una grande occasione pastorale. Il mondo militare ha le sue tradizioni e gradisce che il cappellano vi appartenga come uno di famiglia per percorrere meglio, insieme, la strada che porta a Cristo.

D. - Proviamo a dare una prima risposta a chi dice che i sacerdoti nelle Forze armate non ci devono stare. Che cosa significa quindi fare assistenza spirituale all’interno delle Forze Armate, perché è importante la figura del cappellano militare?

R. - Dobbiamo forse scendere al concreto. Io guardo i circa 200 cappellani che sono in Italia, provenienti e operanti in tutte le regioni e anche nelle missioni all’estero delle Forze armate. Penso, ad esempio, al lavoro a sostegno della famiglia svolto nel mondo militare, di accompagnamento e di mediazione familiare all’interno delle caserme, ai giovani che sono sposati ma lontani dal nucleo familiare, questo sostegno del cappellano alla continuità di legame, del rapporto, particolarmente nel tempo della sofferenza. Quanti militari, uomini e donne, offrono la vita per il bene e per la sicurezza e alla fine il cappellano diventa il punto di riferimento di collegamento tra le famiglie e la caserma, con la sua vicinanza nella preghiera, con la sua operosità interiore di presenza. Tutto questo rappresenta una mediazione familiare, e ci dice come è ricco di umanità il cappellano e come, a nome della Chiesa e come Chiesa, porta l’esperienza dell’umanità nel concreto, nel vissuto delle difficoltà odierne.

D.- La presenza del cappellano nelle missioni delle Forze Armate all’estero come rispetta il diritto alla libertà religiosa dei militari ?

R.- La libertà religiosa non è un diritto negativo, ma positivo. Per cui, lo Stato deve garantire l’esercizio di questo diritto ad ogni cittadino, anche a quanti, cittadini militari, sono impegnati all’estero in Paesi, tra l’altro, che non sono di tradizione cristiana. E questo è un aspetto giuridico. Ma direi anche dell’animo del cappellano, del suo desiderio di far scoprire come Gesù Cristo sia accanto all’uomo, sia il senso della vita dell’uomo, e allora portando Gesù Cristo, un cappellano ha senso perché è annuncio di Gesù, speranza del mondo.

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clicca quì per visualizzare il d.d.l. presentato al Senato per smilitarizzare i Cappellani Militari.

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SENZA STELLETTE E SENZA ONERI PER LO STATO.

PROPOSTA DI LEGGE PER SMILITARIZZARE I CAPPELLANI MILITARI


Cappellani militari senza stellette e senza oneri per lo Stato. È l’obiettivo del disegno di legge presentato dal senatore dei Verdi Gianpaolo Silvestri che presto verrà discusso dalle Commissioni Affari Costituzionali e Difesa di Palazzo Madama, prima di approdare in Aula.

Il d.d.l. si ispira alle proposte di Pax Christi, che da oltre dieci anni si batte per sciogliere gli Ordinariati militari, smilitarizzare i cappellani degli eserciti e affidare la cura pastorale dei soldati ai sacerdoti delle parrocchie nei cui territori sorgono le caserme (v. Adista nn. 81/95, 67/97, 81/00, 49/06 e 81/06).

Ma fa anche un po’ di conti nelle pieghe dei bilanci dei ministeri della Difesa e dell’Economia e scopre che nel 2005 – ultimo dato disponibile – i 190 cappellani in servizio (oggi invece sono 193) sono costati allo Stato italiano 10milioni e 817mila euro, cioè poco meno di 58mila euro a testa all’anno.

“È una proposta – spiega ad Adista il senatore Silvestri – che intende dare attuazione ad una storica battaglia del movimento pacifista cattolico iniziata da figure come don Milani e padre Balducci. Non vogliamo più nessuno che benedice armi, perché quelle armi uccidono. Ciò non significa che non ci debba essere l’assistenza religiosa nelle forze armate.

Ci sostengono altre due argomentazioni: in Italia, secondo la Costituzione e il Concordato, non c’è più una “religione di Stato” e quindi la figura del cappellano militare è anacronistica e, per certi versi, anticostituzionale, anche perché si riserva una corsia preferenziale alla Chiesa cattolica rispetto alle altre confessioni; inoltre si tratta di una enorme spesa per le casse dello Stato, che non sembrano godere di ottima salute”.

Il d.d.l., che si compone di due articoli, non toglie alla Chiesa cattolica la possibilità di fare assistenza spirituale ai soldati, ma prevede la smilitarizzazione dei cappellani: attualmente, infatti, tutti i sacerdoti che prestano il loro servizio pastorale nelle caserme o nelle missioni all’estero sono inquadrati nella gerarchia militare come ufficiali (il vescovo ordinario militare ha il grado più alto: generale di corpo d’armata) e, pertanto, lautamente retribuiti dalle Forze armate.

Se la legge venisse approvata, della cura pastorale dei militari si occuperebbero semplici sacerdoti, “senza stellette” e “senza oneri per lo Stato”. I soldi risparmiati, si legge all’art. 2, verrebbero utilizzati per “iniziative in favore della pace” e per sostenere associazioni “che operano nel campo della pace e della lotta alla povertà nel mondo”.

La proposta, tuttavia, non ha valore retroattivo, almeno dal punto di vista economico: i cappellani attualmente in servizio rinuncerebbero ai gradi ma non allo stipendio – che continuerebbe ad essere erogato fino alla conclusione del mandato –, così come gli ex cappellani (primo fra tutti l’attuale presidente della Conferenza episcopale italiana, mons. Angelo Bagnasco, ex ordinario militare e generale di corpo d’armata in congedo) non perderebbero il diritto alla pensione.

Anche per questo motivo, Silvestri parla di “un d.d.l. non punitivo” e auspica che la CEI appoggi la proposta. Una speranza che tuttavia, a leggere i recenti interventi degli Ordinari militari, pare destinata ad essere delusa, soprattutto per la continua insistenza sulla “militarità”, ossia sull’importanza della piena integrazione dei cappellani nelle Forze armate: “Lo so che la cosiddetta militarità può fare problema e sembrare fuori posto per un prete – spiegava mons. Bagnasco nel maggio 2006, quando era ancora Ordinario Militare –. Ma c'è una ragione. Il senso di appartenenza alle Forze armate è altissimo. È un mondo con regole precise. Il sacerdote, per essere pienamente accolto, ne deve far parte fino in fondo, convinto che il rispetto delle persone e dell'ambiente passa anche attraverso la loro totale condivisione” (v. Adista n. 49/06).

E anche Benedetto XVI – che già nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2006 aveva tessuto le lodi dei cappellani militari (v. Adista n. 1/06) – parlando in Vaticano durante il convegno internazionale degli Ordinariati militari (nell’ottobre 2006, v. Adista n. 81/06), aveva ribadito la necessità per la Chiesa di formare le coscienze “dall'interno del mondo militare”.

di Luca Kocci da ADISTA



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