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Il Parlamento dice NO alla riforma del codice penale militare di guerra - I pericoli della guerra infinita PDF Stampa E-mail
Indice
Il Parlamento dice NO alla riforma del codice penale militare di guerra
I pericoli della guerra infinita
Codice Militare: stampa e ONG
Comunicato: Bloccata temporaneamente l'iter della legge sui codici militari
Tutte le pagine

I pericoli della guerra infinita
di Toni De Marchi

Passata in sordina al Senato, precipitata alla Camera a ridosso delle feste natalizie, incardinata nel calendario parlamentare in modo che potesse procedere a passo bersaglieresco verso l’approvazione finale, la proposta governativa su cui il centrodestra è stato sconfitto nella votazione delle Commissioni Giustizia e Difesa, postula «uno stato di guerra permanente» come spiega Silvana Pisa, deputata del correntone diessino. Per Elettra Deiana, deputata di Rifondazione comunista, invece, «con questo codice implicitamente si normalizza l'uso della forza e quindi si esce dai limiti stabiliti dalla Carta costituzionale».

Cerchiamo di capire meglio novità e pericoli. È una legge che tocca i militari (ed il Cocer, il “sindacato†delle forze armate è stato durissimo durante l’audizione alla Camera della scorsa settimana), ma che incrocia pesantemente anche chiunque abbia a che fare con le forze armate. I giornalisti, ad esempio, che seguono le operazioni in Iraq. Anche loro sono sottoposti alla giurisdizione militare e se danno notizie non autorizzate dai comandi possono essere processati.

O i dipendenti civili della difesa, che ne sono soggetti se sono addetti ad attività connesse con eventuali operazioni militari all’estero. Ad esempio gli operai di un’officina dove si riparano gli elicotteri destinati all’Iraq. O ancora le guardie giurate, quelle che adesso fanno la guardia ai depositi e alle caserme al posto dei marmittoni di leva che non ci sono più.

La guerra infinita
La previsione costituzionale secondo cui la guerra debba essere deliberata dal Parlamento è di fatto cancellata da questa legge. Dice l’articolo 4: «prevedere che la legge penale militare di guerra e le disposizioni di legge che presuppongono il tempo di guerra si applichino per i reati commessi nel corso di un conflitto armato, anche indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra». Chiarissimo. E più avanti, sempre allo steso articolo, «prevedere, nell’ipotesi in cui manchi la dichiarazione dello stato di guerra, che l’applicazione della legge penale militare di guerra e delle disposizioni che presuppongono il tempo di guerra sia disposta con atto avente forza di legge». Per spiegarci: basterebbe un decreto legge del governo per precipitarci tutti quanti in una guerra. Vera.

La legge non è uguale per tutti
All’articolo 3 c’è un elenco sterminato di reati «militari». Con una novità: se il militare commette un reato «civile» (che so, ruba un portafogli ad un suo collega), il reato diventa militare e l’autore viene processato da un tribunale in divisa. È quello che denuncia proprio Taormina. Così potrebbe succedere che se un carabiniere o un finanziere (che sono militari), commettono un reato qualsiasi, vanno davanti ad un giudice militare. Il poliziotto (che invece è civile) e commette il reato assieme a loro va a processo dal giudice ordinario. Con tanti saluti all’articolo 3 della Costituzione: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.

Libertà vo’ cercando
Un quarto di secolo fa i soldati andavano in galera perché si astenevano dalla mensa o firmavano innocenti petizioni. Poi la Corte costituzionale ha fatto tabula rasa delle norme che impedivano anche una semplice raccolta di firme.

Adesso anche questo sarà archiviato. È reato militare, dice l’articolo 3, «la raccolta o la partecipazione in forma pubblica a sottoscrizioni per rimostranze o protesta in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina». Pena, una bazzecola: «reclusione militare non inferiore nel minimo a tre anni e non superiore nel massimo a sette anni».



 
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