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Anche i militari italiani impegnati nella guerra contro l'Iraq? PDF Stampa E-mail

dal Corriere della Sera

POLITICA
Il rischio di una crisi dell esecutivo Bush chiede all Italia un impegno nella guerra
Uomini e mezzi per la difesa da armi chimiche, forse anche aerei per le truppe. Preoccupazione nel governo.

ROMA - Gli Stati Uniti stanno sondando la disponibilità dell Italia a fornire un «supporto logistico» nell’eventualità di un conflitto in Iraq.  Non è dato sapere quale sia la natura del supporto, è certo però che più fonti italiane autorevoli e accreditate ammettono l esistenza della richiesta da parte di Washington, richiesta nella quale si farebbe riferimento a mezzi e addirittura a uomini da impegnare nelle zone delle operazioni.

E  vero che finora Palazzo Chigi ha sempre smentito l ipotesi di un qualsiasi coinvolgimento militare diretto, il fatto è che la domanda di «cooperazione» è giunta di recente, e ieri sera è stata sostanzialmente confermata da un funzionario dell ambasciata
statunitense a Roma. Il funzionario ha spiegato che gli Usa hanno chiesto «a sessanta Paesi assistenza in capacità militari per le fasi del combattimento e per quelle successive», e pur non rivelando quali siano «le specifiche richieste» né quali siano «gli specifici Paesi»,
ha aggiunto che tra le varie esigenze di supporto c è «la protezione Nbc».
La sigla «Nbc» è riferita alla difesa da armi chimiche e batteriologiche, e già in passato si era parlato dell attenzione rivolta dagli Usa verso i blindati italiani preposti a tale compito: si tratta di un reparto speciale del reggimento «Cremona» di stanza a
Civitavecchia. Ma c è di più Washington ha chiesto a Roma di concedere l autorizzazione all uso delle basi italiane. E non solo per il passaggio di armamenti. Stavolta si tratta di uomini, di alcune migliaia di soldati la cui destinazione è ignota, ma che certamente saranno dispiegati sul fronte della crisi. E difficile stabilire se per il trasferimento verrebbero utilizzati soltanto aerei americani, o se nella richiesta di «supporto logistico»
verrebbero inseriti anche i G-222 dell aviazione italiana, adatti proprio al trasporto di truppe in alta quota.
La comunicazione giunta dagli Stati Uniti è stata tenuta riservata dal presidente del Consiglio, e quasi certamente è stata valutata durante il vertice che si è concluso a notte fonda, e al quale hanno partecipato - oltre a Berlusconi - il vice premier Fini, il ministro
degli Esteri Frattini, il ministro dell Interno Pisanu e il ministro della Difesa Martino.     Si tratta di una decisione delicatissima, perché se il governo dovesse accedere alle necessità degli Stati Uniti, in caso di guerra si tratterebbe di un coinvolgimento diretto
dell Italia nel conflitto.
Raccontano che il capo dell esecutivo sia preoccupato: la scelta non è facile. Per dire di sì all «amico Bush» sarebbe costretto a fronteggiare l ostilità dell opinione pubblica, trovare il modo di superare i possibili impedimenti costituzionali cui ha fatto indirettamente cenno in questi giorni Ciampi, e soprattutto andare in Parlamento a chiedere l autorizzazione. E il rischio è altissimo, Berlusconi teme che «di fronte a un simile scenario la maggioranza non regga». La crisi di governo proprio sulla guerra sarebbe rovinosa. D altronde, già fornire l uso delle basi agli americani potrebbe creare un problema nel centrodestra, se la stessa decisione non fosse presa anche da altri Paesi europei. E vero che nei mesi scorsi anche la Germania - decisamente contraria all intervento militare - ha dato l autorizzazione, ma continuerebbe a farlo qualora si trattasse di un attacco unilaterale?
Al tempo stesso è difficile dire di no a Washington per le basi. Solo in due occasioni l Italia negò l assistenza agli alleati: nel 1973, all epoca del conflitto arabo-israeliano, quando gli americani dovettero fare tappa nella penisola iberica; e nell 86, quando la
Casa Bianca decise di bombardare Tripoli nel tentativo di far fuori Gheddafi, e gli aerei a stelle e strisce furono costretti a decollare dalla Gran Bretagna, visto che Palazzo Chigi aveva rifiutato di fornire il supporto logistico per i rifornimenti di carburante. Può
Berlusconi comportarsi allo stesso modo, dopo aver ostentato i solidi rapporti che lo legano agli americani? Difficile.
Com è difficile capire per quale motivo una «nave civile italiana con mezzi militari» sia transitata oggi dal canale di Suez in scia a un convoglio guidato dalla nave da guerra statunitense Usns Pililaau.
Il convoglio, che secondo fonti delle autorità marittime egiziane «fa rotta verso il Golfo», era composto anche da due navi rifornitrici britanniche. Alle forze di opposizione non è sfuggita la notizia, e difatti il capogruppo dei Verdi a palazzo Madama, Stefano Del Boco,
ha chiesto un immediato chiarimento da parte del governo. Il centrosinistra e Rifondazione attendono di sapere, mentre nella maggioranza sale la tensione.
Berlusconi spera che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna riescano a trovare nel Consiglio di Sicurezza dell Onu i voti necessari per far approvare la seconda risoluzione, ma teme ancora un rovescio, determinato probabilmente da una gestione diplomatica della crisi da
parte degli americani che «non mi è parsa impeccabile». E che cioè è stata costellata di errori. Perciò il premier ancora ieri si è affidato alla speranza che il raìs di Bagdad accetti la via dell esilio: «Sarebbe una cosa meravigliosa». «Sarebbe l unico modo per evitare la guerra», ha sussurrato un ministro: «Peccato che nessuno ci creda. Saddam è consapevole che se decidesse di andare in esilio o di dimettersi la sua sorte sarebbe comunque segnata. In entrambi i casi verrebbe ucciso. E dunque non lo farà».
Se allora la guerra dovesse scoppiare, il governo avrebbe difficoltà a sfilarsi dall alleanza con Bush, specie dopo la firma del famoso «documento degli Otto», alla cui stesura avrebbe collaborato anche Angelo Petroni, nominato da Pera e Casini nei giorni scorsi consigliere di amministrazione della Rai. Petroni, molto legato a Tremonti e divenuto anche consigliere di Berlusconi, è collaboratore del «Wall Street Journal», sulle cui colonne sarebbe in pratica nato il documento, maturato dopo una serie di articoli di prestigiosi collaboratori.
Il lavorìo diplomatico al Palazzo di Vetro, la possibilità che slitti ancora l «ora X» dell attacco, consentono al presidente del Consiglio di sperare in un approccio meno duro alla guerra, magari con l appoggio dell Onu. Piuttosto nei suoi colloqui riservati di questi
giorni ha più volte criticato l atteggiamento della Francia, lo ha colpito il modo in cui Chirac chiede che l Europa sulle questioni di politica estera passi dall unanimità alla maggioranza qualificata, mentre alle Nazioni Unite enfatizza la possibilità di porre il veto
di cui dispone. Sia chiaro, mai e poi mai l Italia potrà né vorrà modificare il suo posizionamento: non avrebbe alcun senso - sostiene Berlusconi - andare nella scia di Francia e Germania. Non c è la volontà né l interesse di farlo. Anche se si avverte nei suoi
ragionamenti la paura di veder fallire il semestre di presidenza italiano dell Ue.
Ma la linea intrapresa non prevede nessuna rottura con Bush da parte del premier, che manifesta il suo compiacimento «per le parole pronunciate dall ambasciatore americano Sembler nei nostri confronti». No, la linea non si cambia. E su questo è d accordo anche
Fini, sebbene il leader di An abbia più volte esposto in via riservata i suoi dubbi sulla guerra: dubbi legati al rischio di una «destabilizzazione dell area», ai timori di una «controffensiva terroristica», al pericolo di «uno scontro tra civiltà». Sono temi
che ha affrontato durante alcuni colloqui riservati con rappresentanti americani. La loro risposta è stata che «lo scenario sarebbe peggiore se non si disarmasse definitivamente Saddam».
Ma ora che Washington ha avanzato le sue richieste, ora che il conflitto si avvicina, ora il governo deve fare i conti con la sua maggioranza, con l opposizione e con il Paese. Certo, può anche dire di no a Bush. Nell uno come nell altro caso dovrà fronteggiare le conseguenze di una scelta.
Francesco Verderami
 

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