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La riforma della legge n. 241/1990 PDF Stampa E-mail

La riforma della legge n. 241/1990

SOMMARIO. 1. Principi generali. 2. Procedimento. 3. Diritto di accesso. 4. Regime degli atti (efficacia del provvedimento amministrativo; revoca e recesso). 5. Ambito di applicazione della legge. 6. Rassegna della giurisprudenza amministrativa sulla legge n. 241/1990 riformata. Premessa. 7. Rassegna in ordine cronologico. 8. Spunti ricostruttivi.
di Marco Betzu e Giovanni Coinu*

1. Principi generali.
La legge n. 15/2005 e l’art. 3 della legge n. 80/2005 hanno introdotto, modificando in gran parte la disciplina generale contenuta nella fondamentale legge n. 241/1990, significative innovazioni sul generale assetto dell’azione amministrativa, da un lato riconducendo nell’alveo del diritto positivo le più consolidate soluzioni dottrinali e giurisprudenziali registratesi in materia negli ultimi anni, dall’altro inserendo nuovi principi di portata radicalmente incisiva sul sistema.
Di particolare rilievo è l’introduzione di un comma 1 bis all’art. 1: “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. Si realizza in tal modo un sostanziale ribaltamento dell’impostazione tradizionale secondo cui l’agere amministrativo è retto da norme di diritto pubblico, dovendosi applicare quest’ultimo, e non il diritto privato, in caso di dubbio interpretativo.
Ulteriori modifiche all’art. 1 sono rappresentate, tra l’altro, dalla introduzione del principio di trasparenza e di quelli propri dell’ordinamento comunitario tra i principî che devono reggere l’attività amministrativa. Se la prima previsione appare sostanzialmente superflua, la seconda sembra assumere viceversa un maggiore rilievo, soprattutto in considerazione dell’influenza “ermeneutica” della giurisprudenza comunitaria su quella nazionale (basti pensare alla lettura data dalla prima ai principî di legittima aspettativa e di proporzionalità).

2. Procedimento.
A parte la norma “programmatica” contenuta nella disposizione di cui al nuovo art. 3 bis, che si propone di incentivare l’uso della telematica nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e nei rapporti con i privati (il riferimento normativo evidente è, al riguardo, il D.P.R. n. 445/2000), la riforma incide in maniera significativa su quasi tutta la fase procedimentale in senso stretto. Le principali innovazioni sono:

Art. 2: il termine per la conclusione del procedimento, salvo che non sia diversamente previsto, è di 90 giorni. Siffatto termine pare atteggiarsi come limite massimo dei procedimenti in genere (v. anche art. 14 ter). Ove non diversamente previsto dalla legge, i termini dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali sono determinati con uno o più regolamenti adottati su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica; gli enti pubblici nazionali li determinano secondo i propri ordinamenti. Il criterio cui attenersi è quello della sostenibilità del termine in relazione all’organizzazione amministrativa e alla natura degli interessi pubblici tutelati. L’espressione “sostenibilità” si segnala per il suo carattere ellittico. Probabilmente il riferimento è tanto all’attività dell’amministrazione quanto alla sfera dei privati coinvolti (nel senso di giustificabile nei loro confronti). Il termine decorre “dall’inizio d’ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”. I termini sono sospesi, per un periodo massimo di 90 giorni, laddove sia necessario acquisire valutazioni tecniche. Viceversa la sospensione è soltanto facoltativa, e può avvenire una sola volta, per l’acquisizione di informazioni e certificazioni. Il ricorso avverso il silenzio può – poi – “essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento” e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui sopra. Si aggiunge, infine, che il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza e che “è fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”;

Art. 6: si positivizza una regola di coerenza, prevedendo che se l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale sia diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi, salvo motivazione, dalle risultanze dell’istruttoria;

Art. 8: tra gli elementi la cui presenza è necessaria nella comunicazione di avvio del procedimento sono aggiunti la data di conclusione, i rimedi esperibili in caso di inerzia e, nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione dell’istanza;

Art. 10 bis: costituisce una previsione inedita che estende l’istituto della partecipazione procedimentale, introducendo, nei soli procedimenti ad istanza di parte, la regola secondo cui il responsabile o l’autorità competente deve comunicare all’istante, possibile destinatario di un provvedimento negativo in fieri, i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro 10 giorni dal ricevimento della comunicazione l’istante ha diritto di presentare le rispettive osservazioni (scritte), anche corredate da documenti. Siffatta comunicazione interrompe (ma è dibattuto, propendendo i più per una mera sospensione) i termini per la conclusione del procedimento. Del mancato accoglimento delle osservazioni è dato conto nella motivazione del provvedimento finale. L’effettiva portata pratica della disposizione potrebbe, tuttavia, essere concretamente limitata dalla previsione di cui all’art. 21 octies, comma 2. In ogni caso, la disciplina suddetta non si applica “alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”;

Art. 11: la prima innovazione, oltre modo significativa, è la facoltà generale di concludere un accordo sostitutivo del provvedimento finale. Viene infatti soppressa la dizione “nei casi previsti dalla legge”. La seconda è contenuta nel nuovo comma 4 bis: l’accordo deve essere preceduto da una determinazione dell’organo competente per l’adozione del provvedimento. Il reale significato normativo da estrarre dalla disposizione è che la determinazione vale a condensare le risultanze dell’istruttoria condotta fino a quel momento, soprattutto in riferimento alla necessaria rispondenza all’interesse pubblico primario e al rispetto dei diritti dei terzi. La propedeuticità in tal modo inserita rappresenta quindi un utilissimo strumento di implementazione della trasparenza dell’azione amministrativa, oltre che, come espressamente stabilito, dell’imparzialità e del suo buon andamento;

Artt. 14, 14 bis, 14 ter, 14 quater, 14 quinquies: numerose sono le innovazioni allo strumento della conferenza di servizi. Innanzi tutto, il termine per l’acquisizione di intese, concerti, nullaosta o altri atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni pubbliche è di 30 giorni dalla ricezione della relativa richiesta. Qualora l’amministrazione procedente non li ottenga, la conferenza nella fase decisoria assume carattere obbligatorio. Rimane facoltativa, viceversa, qualora nello stesso termine “sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate”. In caso di affidamento della concessione di lavori pubblici la conferenza è convocata non più soltanto dal concedente, ma, con il consenso di questo, anche dal concessionario (in quest’ultimo caso permane in capo al concedente il diritto di voto). La conferenza di servizi, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, può essere convocata e svolgersi con l’uso di strumenti informatici. La conferenza di servizi preliminare, precisa il nuovo inciso dell’art. 14 bis, primo comma, “può essere convocata per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell’interessato, documentata, in assenza di un progetto preliminare, da uno studio di fattibilità”. Inoltre, il dissenso opposto in tal sede da un’amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico e artistico, della salute o della pubblica incolumità, “con riferimento alle opere interregionali, è sottoposto alla disciplina di cui all’art. 14-quater, comma 3. Le principali innovazioni apportate ai lavori della conferenza riguardano (art. 14 ter): a) il termine di convocazione della prima riunione dall’indizione (15 giorni, 30 in caso di particolare complessità dell’istruttoria); b) la determinazione motivata di conclusione del procedimento (nuovo comma 6 bis); c) il provvedimento finale conforme alla suddetta determinazione conclusiva, che sostituisce in toto ogni atto di assenso delle amministrazioni partecipanti o risultate assenti sebbene invitate a partecipare. Infine, risulta quasi del tutto riscritto l’art. 14 quater in tema di effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi. In particolare alle amministrazioni previste ai fini del dissenso qualificato si aggiungono quelle preposte alla tutela della pubblica incolumità. Come è stato notato (1), si tratta di nozione non consueta nella normazione positiva e, dal punto di vista contenutistico, oltre modo ampia. Mette conto precisare che qualora il dissenso qualificato avvenga tra amministrazioni statali, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri; qualora siano coinvolte le amministrazioni regionali, a decidere sarà la Conferenza Stato-regioni; mentre in caso di amministrazioni locali la Conferenza unificata. Analoga la disciplina nel caso in cui il dissenso sia espresso da una regione. La dispostone prevede anche i termini entro i quali le Conferenze devono pronunciarsi e le diverse autorità cui la questione possa essere rimessa in caso di inutile decorrenza degli stessi. Non particolarmente innovativa, la nuova disciplina delle conferenze di servizi si presenta, a dire il vero, eccessivamente macchinosa; il che deriva, probabilmente, dalla loro stessa funzione: comporre interessi pubblici eterogenei;

Art. 18: i documenti che attestano “atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio” se in possesso dell’amministrazione procedente o se “detenuti istituzionalmente” da altre pubbliche amministrazioni. D’altro canto, possono essere richiesti agli interessati “i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti”;

Art. 19: ai limiti previgenti alla portata dell’istituto si aggiunge l’esistenza di specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti sostituibili (tra i quali sono ora da annoverare anche le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale). Ne viene poi esclusa l’utilizzabilità, in particolare, per gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, amministrazione della giustizia, amministrazione delle finanze, tutela della salute, della pubblica incolumità, del patrimonio culturale, paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria. La denunzia di inizio attività deve essere corredata, “anche per mezzo di autocertificazioni”, delle certificazioni e delle attestazioni richieste. Il termine a carico dell’amministrazione per l’adozione di motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti si riduce a 30 giorni; è sospeso ove si renda necessaria l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi. Rimane in ogni caso salvo il potere dell’amministrazione di adottare determinazioni in via di autotutela ex artt. 21 quinquies e nonies. Ogni controversia relativa è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

Art. 20: l’istituto del silenzio assenso viene generalizzato per i procedimenti a istanza di parte, fatta salva l’applicazione del art. 19 e con esclusione dei procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, oltre ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio come rigetto dell’istanza e agli atti e procedimenti individuati tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica e di concerto con il Ministro competente. Il termine è quello di cui all’art. 2, secondo comma. L’amministrazione può tuttavia indire entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, una conferenza di servizi; resta salvo il potere di autotutela;

Art 21: è aggiunto un comma 2 bis.

3. Diritto di accesso.
La legge n. 15/2005 riscrive praticamente del tutto la disciplina del diritto di accesso, definito dal nuovo art. 22, lett. a), “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”. Il diritto di accesso viene espressamente qualificato “principio generale dell’attività amministrativa” (art. 22, comma 2), e rappresenta l’immediato corollario del principio generale della pubblicità del procedimento amministrativo di cui all’art. 1. Strettamente collegato a quanto detto è il risvolto “costituzionale” della disposizione citata, la quale espressamente qualifica il diritto di accesso come attinente alla “materia-non materia” di cui all’art. 117 Cost., comma 2, lett. m. In quanto facente parte dei diritti di cui devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni, la disciplina del diritto di accesso è dunque riconnessa dalla disposizione alla competenza legislativa esclusiva statale. Come, più in generale, tutti i diritti di partecipazione al procedimento, dalla disciplina positiva del diritto di accesso si ricava un principio in grado di vincolare Regioni ed enti locali. Tuttavia, opportunamente, il secondo comma dell’art. 22, ultimo inciso, chiarisce che “resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela”: il che significa, più concretamente, la possibilità di ampliare l’accesso ai documenti a favore dei cittadini, pur nel rispetto del principio di non aggravamento ex art. 1, comma 2 (2).
Ulteriori definizioni sono contenute nell’art. 22, relativamente alle nozioni di “interessati”, “controinteressati”, “documento amministrativo”, “pubblica amministrazione”.

L’art. 24 provvede, viceversa, a restringere l’ambito di operatività dell’istituto, individuando i casi di esclusione dell’accesso. Di rilievo, al riguardo, è la prescrizione di cui al settimo comma, secondo cui l’accesso deve essere garantito qualora sia in un rapporto di strumentalità necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridici dei ricorrenti (salvo l’aggravio previsto nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari).

Le modalità di esercizio del diritto di accesso e il regime dei ricorsi esperibili in caso di diniego sono disciplinati dall’art. 25. Al riguardo è da segnalare il ruolo di “riesame” del difensore civico (e della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi per quanto concerne gli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato) e l’apparizione dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali nell’ipotesi – frequente – di conflitto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza. Relativamente alla Commissione per l’accesso, l’art. 27 prevede che essa sia istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

4. Regime degli atti (efficacia del provvedimento amministrativo; revoca e recesso).
L’intervento normativo più rivoluzionario contenuto nella riforma è quello che ha inciso sulla disciplina generale dell’efficacia e dell’invalidità del provvedimento amministrativo, da una parte recependo alcune acquisizioni giurisprudenziali e dottrinali da lungo tempo consolidate, dall’altra introducendo molteplici e significativi elementi di innovazione, segnatamente per quanto concerne il regime patologico dell’invalidità.
Si rende necessaria una breve ma analitica esposizione:

Art. 21 bis: introduce il principio generale del necessario carattere recettizio dei provvedimenti limitativi la sfera dei privati. Fanno eccezione i provvedimenti cautelari e urgenti e quelli ai quali l’amministrazione apponga una clausola (motivata) di efficacia immediata (il che non è consentito per i provvedimenti sanzionatori);

Art. 21 ter: l’esecutorietà non è una caratteristica tipica dell’atto amministrativo, ma è sussistente nei casi e modi previsti dalla legge. Il provvedimento indica modalità e termine dell’esecuzione; in caso di mancata ottemperanza, l’amministrazione, previa diffida, può provvedere all’esecuzione coattiva. Se l’obbligo consiste nel pagamento di somme di denaro si applica il procedimento di ingiunzione per l’esecuzione coattiva dei crediti dello Stato;

Art. 21 quater: disciplina l’esecutività dei provvedimenti amministrativi efficaci: essa è in re ipsa, salvo che non sia diversamente previsto dalla legge o dal provvedimento medesimo. L’efficacia o l’esecuzione del provvedimento possono essere, “per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario”, sospese dall’organo emanante o da altro indicato dalla legge. Ciò, tuttavia, non può essere sine die; è il medesimo atto che la dispone a indicare il termine della sospensione, che può essere prorogato o differito per una sola volta, ma anche ridotto per esigenze sopravvenute;

Art. 21 quinquies: disciplina il potere di revoca del provvedimento, da intendersi ex nunc, in quanto determinante l’impossibilità di produrre ulteriori effetti. I presupposti sono tre: sopravvenuti motivi di pubblico interesse, mutamento della situazione di fatto, nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Di assoluto interesse è la previsione dell’obbligo di indennizzo dei pregiudizi arrecati ai soggetti direttamente interessati, quelli, cioè, che sono “parti del rapporto costituito dal provvedimento ad efficacia durevole oggetto di revoca” (3). Le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

Art. 21 sexies: regola l’ipotesi di recesso unilaterale dai contratti da parte della pubblica amministrazione, limitandolo ai soli casi previsti dalla legge o dal contratto stesso. Non riguarda, quindi, i provvedimenti, ma l’attività iure privatorum dell’amministrazione. L’inserimento della previsione subito dopo la revoca del provvedimento vale a segnare una linea distintiva forte rispetto alla disciplina pubblicistica, escludendo l’esercizio della revoca in relazione ai rapporti fondati su atti di autonomia privata;

Art. 21 septies: viene positivizzata la categoria della nullità dei provvedimenti amministrativi. La disposizione individua tre categorie particolari (mancanza degli elementi essenziali, difetto assoluto di attribuzione, violazione o elusione del giudicato) e una clausola generale (gli altri casi previsti dalla legge: ad es. l’ipotesi degli atti adottati dall’organo prorogato una volta trascorsi i 45 giorni di proroga). L’individuazione in concreto dei casi da ricondurre alle categorie legislativamente individuate è, tuttavia, difficoltosa: vi è infatti disaccordo nella ricostruzione sia della categoria degli elementi essenziali del provvedimento, sia della riconducibilità – o meno – dell’ipotesi della cosiddetta carenza di potere in concreto alla previsione della nullità. Si aggiunge, infine, che le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti per violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, da ritenersi estesa anche al merito;

Art 21 octies: il primo comma reitera la tradizionale ricostruzione delle ipotesi di annullabilità del provvedimento: violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza. Di particolare interesse è quanto disposto dal comma successivo, secondo cui il provvedimento non è comunque annullabile quando: a) “adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti”, se vincolato, qualora “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”; b) mancante la comunicazione di avvio del procedimento, l’amministrazione riesca a dimostrare in giudizio “che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. La prima ipotesi affronta la problematica dei vizi meramente formali dell’atto amministrativo, da intendersi come quelli che non inficiano il contenuto sostanziale dell’atto, pur sempre conforme ai parametri di legge. Trattasi di ipotesi frequentemente ricorrenti in giurisprudenza. Basti pensare alle situazioni di mera irregolarità dell’atto, dovuta ad anomalie del tutto marginali, come l’omessa indicazione del responsabile del procedimento (v. Cons. St., sez. VI, 597/99). Ma vizi meramente formali sono anche quelli che derivano dalla violazione di norme di carattere procedimentale che, nondimeno, hanno raggiunto il loro scopo. Il riferimento è, in tal caso, al principio della strumentalità delle forme, sovente applicato in giurisprudenza in materia di procedimenti elettorali o in caso di mancata comunicazione di avvio del procedimento allorquando, tuttavia, il soggetto interessato ne abbia comunque avuto notizia (Cons. St., sez. VI, 999/96; Cons. St., sez. IV, 5003/02). E’ opportuna la limitazione ai soli atti vincolati (4). La seconda ipotesi va oltre i casi di provvedimenti vincolati, finendo per rendere ancor più debole l’obbligo di comunicazione ex art. 7: come è stato giustamente osservato, “questo ulteriore indebolimento dell’importante norma garantistica si adatta poco all’impostazione dichiaratamente garantistica cui la legge è generalmente ispirata” (5);

Art. 21 nonies: disciplina l’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo precedente. Esso può essere annullato d’ufficio dall’organo emanante o da altro previsto dalla legge: a) se sussistano ragioni di interesse pubblico; b) entro un termine ragionevole; c) tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Il riferimento a un termine ragionevole, formula – a dire il vero – poco perspicua, supera l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato che predicava l’irrilevanza del tempo ai fini dell’annullamento d’ufficio (v. Cons. St., sez. IV, 6956/04).
Rimane salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, nel rispetto di a) e b).

5. Ambito di applicazione della legge.
Di particolare interesse costituzionalistico è, infine, l’art. 29 della “nuova” legge n. 241/1990, che ne definisce l’ambito applicativo. Esso prevede che quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa (e, quindi, specialmente il Capo IV bis sul regime del provvedimento) si applica a tutte le amministrazioni pubbliche. Quanto al resto è necessario distinguere. Le altre disposizioni si applicano senza dubbio alcuno ai procedimenti che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Per quanto concerne Regioni ed enti locali il comma 2 recita: “Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”. La corretta comprensione della natura e portata dei suddetti principî soccorre nell’interpretazione della cattiva formulazione utilizzata dal legislatore. A differenza delle regole, i principî forniscono i criteri di reazione dinnanzi a situazioni concrete, indeterminabili a priori (6). Ma la legge n. 241/1990, a dispetto di quanto potrebbe ritenersi prima facie, è composta essenzialmente da principî, siano essi espressi direttamente nel testo o desumibili per interpretazione da quelle regole di cui costituiscono il referente principale. La gran parte di questi principî rappresenta una parte integrante del diritto europeo, così come ricostruito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. D’altro lato, i principî che disciplinano l’attività amministrativa modulando i rapporti tra le amministrazioni e i privati sono connessi alla “materia-non materia” di cui alla lett. m, comma 2, dell’art. 117 Cost., oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato. Ciò è detto espressamente in riferimento al diritto di accesso dal comma 2 dell’art. 22, ma sarebbe irragionevole non predicare la medesima “attinenza” anche relativamente ai diritti di partecipazione in genere. Se la prima di queste proposizioni è vera, dalle altre due è possibile desumere la vincolatività di gran parte del corpus normativo della legge nei confronti dei legislatori regionali, quanto meno al livello di principio. Le Regioni, come detto in tema di diritto di accesso, potranno pertanto individuare “livelli ulteriori di tutela” a favore dei cittadini, pur nel rispetto del principio di non aggravamento ex art. 1, comma 2 (7). Per contro, le pubbliche amministrazioni a tutti i livelli rinvengono nella legge i livelli irrinunciabili di tutela delle posizioni soggettive dei singoli.
L’equiparazione operata dal secondo comma tra le Regioni e gli enti locali vale a significare, alla luce dell’art. 117, comma 6, della Costituzione, che lo svolgimento dei procedimenti amministrativi nell’ambito dei secondi è indisponibile per le leggi statali e regionali, alle quali è possibile “soltanto” attribuire le relative funzioni.

6. Rassegna della giurisprudenza amministrativa sulla legge n. 241/1990 riformata. Premessa.

Dalle decisioni emanate dai Tribunali Amministrativi Regionali all’indomani dell’entrata in vigore della novella legislativa che ha modificato la legge n. 241/1990, si possono trarre i primi interessanti spunti di riflessione sull’applicazione che la riforma appena varata sta ricevendo nelle aule giudiziarie.

E’ da notare che, essendo passati pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma, le decisioni che sono state prese in considerazione ai fini di questa breve rassegna si concentrano su quegli aspetti della riforma che più da vicino interessano i profili patologici dell’atto amministrativo o che, comunque, possono essere conosciuti dal giudice amministrativo in maniera più immediata.

In particolare, a parte una, tutte le sentenze esaminate hanno riguardato, seppur con differenti sfumature, l’applicazione della sanatoria introdotta dal secondo comma dell’art. 21 octies della legge 241.

Dall’esame di queste sentenze è emerso che i TAR hanno accolto favorevolmente l’istituto della sanatoria ex lege dell’atto amministrativo adottato in violazione delle norme che ne regolano il procedimento di adozione e la forma finale, qualora l’Amministrazione provi in giudizio che il provvedimento finale non avrebbe potuto comunque avere un contenuto diverso da quello in concreto assunto, anche qualora fossero state rispettate tutte le regole formali sottese alla sua adozione. D’altra parte non poteva accadere diversamente, se sol si tiene conto del fatto che era stato lo stesso giudice amministrativo a sollecitare, con una vasta giurisprudenza in materia in tal senso orientata, una riforma ispirata ai principi della economia dei mezzi giuridici e della conservazione dell’atto.

7. Rassegna in ordine cronologico.
1) Il Tar Veneto nella sentenza n. 935 dell’11 marzo 2005 ha definito “irrilevanti, alla luce dell’art. 21 octies, comma 2, seppur astrattamente fondati” i motivi di carattere formale (difetto di motivazione, contraddittorietà e omessa acquisizione del parere della Commissione edilizia integrata) dedotti per l’impugnazione di un provvedimento comunale di rimozione di un’insegna pubblicitaria. Il giudice ha ritenuto che il provvedimento di rimozione avesse natura vincolata in quanto la precedente autorizzazione comunale era stata rilasciata in assenza della autorizzazione ambientale necessaria per legge. Una volta acclarata la natura vincolata del provvedimento, a parere del Tar, deriva di conseguenza che il contenuto dell’atto non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato dall’amministrazione comunale, il che, a norma dell’art. 21 octies, comma 2, determina l’irrilevanza dei motivi di impugnazione e il rigetto del ricorso.

2) Con la sentenza 25 marzo 2005, n. 483, il Tar Sardegna, sez. II, ha deciso sull’impugnazione di un provvedimento di occupazione di urgenza che ha fatto seguito ad una deliberazione della Giunta comunale con la quale si era dichiarata la pubblica utilità dei lavori e si era deliberato, pertanto, di procedere all’acquisizione degli immobili necessari per la realizzazione dell’intervento. Il ricorrente, tra gli altri motivi dedotti, lamenta in particolare l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento che ha determinato la sua estromissione dalla formazione del provvedimento amministrativo. Il Giudice, nel rispetto della lettera dell’art. 21 octies, comma 2, ha dichiarato l’inapplicabilità della sanatoria quando non possa ritenersi raggiunta in giudizio la prova dell’identità di contenuto. Nella specie, a giudizio del Tar, la prova non è stata raggiunta perché le soluzioni prospettate dal ricorrente, alternative a quella raggiunta dalla PA nel provvedimento, non sono state mai esaminate dall’Amministrazione, ciò che implicitamente dimostra che il contenuto dell’atto sarebbe potuto essere diverso da quello concretamente determinato e conduce all’accoglimento del ricorso.

3) Nello stesso senso si è mosso anche il Tar Campania – Napoli – sez. II con la sentenza 29 aprile 2005, n. 5226 con la quale si precisa che la comunicazione di avvio del procedimento deve essere effettuata anche nel caso di provvedimenti vincolati perché la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si fonda la determinazione amministrativa. Nel caso di specie, l’Amministrazione non ha, nel corso del giudizio, evidenziato alcun elemento che potesse dar luogo ad un esame da parte del Collegio ai fini della possibilità di sanatoria dell’atto ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, e pertanto viene privilegiato il doveroso rispetto delle garanzie procedimentali.

4) In tale prospettiva è curiosa, invece, la decisione assunta dal Tar Campania - Salerno – sez. I con la sentenza 29 aprile 2005, n. 671. In tale decisione, infatti, il giudice amministrativo nel respingere un ricorso avente ad oggetto la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento in un caso di esproprio per pubblica utilità, dopo aver ampiamente motivato sull’urgenza del provvedimento che escludeva nel caso di specie l’obbligo di comunicazione, dà atto dell’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 21 octies, comma 2, elaborato sulla base del principio giurisprudenziale secondo cui “l’omissione della comunicazione ex art. 7 l. n. 241/1990 comporta l’illegittimità dell’atto soltanto nel caso in cui il soggetto non avvisato possa poi provare che, ove avesse potuto tempestivamente partecipare al procedimento stesso, avrebbe potuto presentare osservazioni ed opposizioni che avrebbero avuto la ragionevole possibilità di avere un’incidenza causale nel provvedimento terminale, che, nella specie, non risulta provato”. In tale modo, il Tar Salerno, anche se tale affermazione non costituisce il motivo principale di rigetto del ricorso, inverte curiosamente il regime dell’onere della prova introdotto dal legislatore della riforma espressamente a carico dell’Amministrazione.

5) Il Tar Lazio - Roma – sez. II con la sentenza n. 3921 del 18 maggio 2005 ha dato immediata applicazione all’art. 10 bis della l. 241 riformata dichiarando illegittimo il diniego di rilascio di un permesso di costruzione in quanto non era stato preceduto dalla comunicazione dei motivi che ostavano all’accoglimento della domanda, così come ora richiesto dalla legge. La curiosità sta nel fatto che la sentenza è datata 18 maggio, ma si riferisce ad un provvedimento adottato in data 4 marzo 2005, cioè ad un provvedimento emanato quando la riforma legislativa non era ancora entrata in vigore (8 marzo 2005). Occorre interrogarsi sul rapporto tra la novella, la sua applicazione e il principio generale Tempus regit actum.

6) Ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, viene fatto salvo dal Tar Puglia - Lecce –sez. II con sentenza 24 maggio 2005, n. 2913 un provvedimento di revoca non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. La Pubblica Amministrazione convenuta ha, infatti, dimostrato in giudizio, grazie all’esibizione di accurata documentazione fotografica, che il provvedimento anche laddove fosse stata garantita la partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello concretamente adottato. E’ interessante notare come il Collegio pugliese si sia interrogato sulla problematica relativa all’applicabilità della disposizione in questione ai provvedimenti emanati prima che la legge di riforma fosse entrata in vigore. La questione è stata risolta argomentando non tanto sulla successione nel tempo degli atti giuridici e sugli effetti a questa legati, ma semplicemente affermando che il Collegio ha deciso di applicare una regola generale già enunciata e ritenuta applicabile in precedenza dalla giurisprudenza amministrativa.

7) Con la sentenza 25 maggio 2005, n. 1170, il Tar Sardegna ha esteso l’ambito applicativo della prima disposizione dell’art. 21 octies, comma 2, oltre che ai casi di provvedimenti vincolati, così come espressamente segnalato dalla disposizione normativa, anche ai casi in cui il provvedimento presenti, congiuntamente ad ambiti vincolati, margini di discrezionalità, laddove la soddisfazione della pretesa del privato dipenda dal possesso di requisiti di cui il giudice può ictu oculi verificare la presenza. Nel caso di specie, il ricorrente aveva presentato una domanda di riammissione in servizio presso l’Arma dei Carabinieri alla quale l’Amministrazione aveva semplicemente risposto che la domanda non poteva essere accolta perché attualmente non sono previste riammissioni in servizio. A seguito dell’impugnazione per fondati motivi sulla forma dell’atto il Tar ha affermato, in un primo momento, che il provvedimento è del tutto privo di motivazione, ma ne ha dichiarato, poi, la sanatoria sulla base dell’art. 21 octies, comma 2. Pur riconoscendo che così operando il giudice non si limita più a giudicare della legittimità della determinazione amministrativa in relazione ai motivi di censura dedotti, il Tar ha ritenuto, infatti, di poter applicare la citata disposizione anche laddove il giudice è chiamato ad operare un mero riscontro circa la ricorrenza delle condizioni richieste dalla legge per l’accoglimento di una domanda. (Nel caso di specie per l’arruolamento nei Carabinieri è richiesto un profilo sanitario di cui il ricorrente, pacificamente, non era in possesso. Tale ragione era di per se stessa sufficiente a giustificare il diniego di riammissione in servizio).

8) La disposizione afferma genericamente che l’atto non può essere annullato quando l’Amministrazione dia prova in giudizio che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso anche qualora fossero state rispettate le regole sul procedimento. Il Tar Sardegna, nella sentenza 27 maggio 2005, n. 1272, ha chiarito quali caratteristiche tale prova deve possedere per portare alla sanatoria del provvedimento irregolare. Innanzitutto il Tar chiarisce che per interpretare la disposizione in maniera conforme alla Costituzione occorre offrirne (a) una lettura restrittiva e rigorosa, poiché altrimenti si rischierebbe di limitare illegittimamente il diritto di azione del cittadino garantito dal combinato disposto degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione. In secondo luogo, e di conseguenza, afferma che la prova che l’amministrazione è tenuta ad esibire deve essere (b) “tale da introdurre nel giudizio elementi di fatto, prevalentemente di natura tecnica ed oggettivamente verificabili, idonei a dimostrare in concreto che in nessun altro modo non lesivo per la posizione del cittadino si sarebbe potuto raggiungere lo scopo”. In terzo luogo, deve risultare che l’Amministrazione ha operato (c) “nel corso del procedimento una corretta comparazione e sintesi degli interessi coinvolti (…) in maniera tale da rendere superfluo il riesame in quanto ogni ulteriore elemento conoscitivo che l’interessato avrebbe potuto evidenziare non avrebbe scongiurato la lesione lamentata proprio per l’oggettiva impossibilità di un contenuto diverso”. Infine, deve essere data al privato (d) “la possibilità di controdedurre a sua volta sugli elementi di prova esibiti, in modo da assicurare in giudizio quella tutela che consenta di ritenere sanato il vizio originario”.

9) Il Tar Campania – Napoli – sez. VII, con la sentenza n. 9368 del 4 luglio 2005, applicando l’art. 10 bis ha annullato un provvedimento di diniego di una concessione marittima ad uso turistico emesso dalla Capitaneria di Porto che non era stato preceduto dalla preventiva comunicazione degli elementi ostativi emersi durante l’istruttoria che avrebbero potuto portare al rigetto dell’istanza presentata dal ricorrente. E’ interessante notare che il Tar Campania, prima di decidere per l’annullamento del diniego, abbia sottoposto il provvedimento impugnato - anche se provvedimento a natura non vincolata - allo scrutinio previsto dall’art. 21 octies della l. 241/1990, ritenendo tuttavia che nel caso di specie non fossero presenti quelle caratteristiche dell’atto legislativamente previste perché si potesse superare il vizio procedimentale.

8. Spunti ricostruttivi.
I profili che meritano di essere segnalati alla luce di queste prime decisioni sono essenzialmente due. Innanzitutto, il problema della applicabilità della riforma alle cause pendenti o ai provvedimenti adottati prima della sua entrata in vigore. In secondo luogo, il problema della definizione della prova che l’Amministrazione è chiamata a fornire in giudizio per ottenere la sanatoria dell’atto irregolare, ai sensi del nuovo art. 21 octies, comma 2.

Per quanto concerne il primo dei due profili prospettati, occorre sottolineare come nessun giudice si sia soffermato ad analizzare approfonditamente le problematiche connesse alla successione delle leggi nel tempo e ai loro effetti sugli atti e gli istituti giuridici, o che, almeno, non ne abbia dato conto in sentenza. In altre parole, nessun giudice si è concretamente interrogato sull’applicabilità della riforma ai provvedimenti già emessi alla data della sua entrata in vigore o ai giudizi pendenti. Molto eloquente in tal senso, appare la decisone del Tar Lazio con cui si è annullato un provvedimento, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 per la mancata (previa) comunicazione dei motivi che ostavano all’accoglimento della istanza di parte, anche se tale provvedimento era stato adottato prima dell’entrata in vigore della riforma. Nel caso di specie, il principio generale secondo cui tempus regit actum è stato pretermesso senza che a tale problematica sia stata dedicata una sola parola nella motivazione, ma, anzi il Collegio ha semplicemente affermato che “dagli atti emerge chiaramente che l’amministrazione ha disatteso la disposizione di cui al nuovo art. 10 bis della legge sul procedimento”. Ma si poteva effettivamente pretendere che l’amministrazione obbedisse a un dettato normativo non ancora entrato in vigore?

Il Tar Veneto dà per scontata l’immediata applicabilità della nuova legge. Il Tar Campania e il Tar Sardegna pure, limitandosi a chiedersi se l’art. 21 octies possa essere applicato solo agli atti vincolati o anche a quelli discrezionali. Il problema se lo pone, seppur non con troppa convinzione, solo il Tar Puglia che lo risolve, peraltro, in maniera “pilatesca” affermando che, comunque sia, applicabile o no, loro stanno applicando un principio confermativo di una regola generale già enunciata e ritenuta applicabile dalla giurisprudenza amministrativa.

Per quanto concerne, invece, il secondo dei profili problematici prospettati, e cioè la problematica relativa alla definizione della prova che l’Amministrazione è chiamata a fornire per ottenere la sanatoria dell’atto irregolare per difetto di forma o per carenze procedimentali, è molto interessante l’impostazione offerta dal Tar Sardegna. Ai fini di una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione, questo giudice ha ritenuto di dover dare alla novella una lettura “rigorosa e restrittiva” pretendendo che l’Amministrazione fornisca in giudizio “elementi di fatto, prevalentemente di natura tecnica ed oggettivamente verificabili” tali da “rendere superfluo il riesame” del provvedimento per “l’impossibilità oggettiva” che quest’ultimo possa avere un contenuto diverso da quello in concreto assunto.

Note:
* Sono da attribuire in via esclusiva a Marco Betzu i paragrafi 1, 2, 3, 4, 5 e a Giovanni Coinu i paragrafi 6, 7, 8.
1) V. CERULLI IRELLI, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa. Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, in Astrid Rassegna n. 4 del 2005, 18.
2) Così V. CERULLI IRELLI, op. cit., 47.
3) V. CERULLI IRELLI, op. cit., 25.
4) Così V. CERULLI IRELLI, op. cit., 38.
5) Ivi, 40.
6) V. G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino 1992, 149.
7) V. CERULLI IRELLI, op. cit., 52.

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